Il fallaccio di gioco ed il risarcimento danni
In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, la condotta dell’agente è scriminata soltanto laddove sussista uno stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo. Non sussiste tale nesso funzionale se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere l’avversario, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco. Sussiste, pertanto, in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell’attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso. In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano (durante una partita amichevole di calcio, l’agente eseguiva un’azione fallosa, in scivolata colpendo da dietro le gambe del giocatore e procurandogli lesioni personali con esiti invalidanti di natura permanente. La Corte d’Appello aveva ritenuto che l’azione fallosa non era stata caratterizzata dalla volontà di ledere, né – se pure violativa delle regole del gioco – poteva ritenersi sproporzionata rispetto al contesto od assolutamente abnorme rispetto alla finalità del gioco stesso).
(Cassazione Civile, 10 maggio 2018, n. 11270)