Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va, invece, escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un affare in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. preliminare di preliminare, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Detto contratto, invero, in caso di inadempimento, pur essendo di per se stesso valido ed efficace e non nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo, non legittima tuttavia la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endo-procedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio.

(Cassazione Civile, 19 novembre 2019, n. 30083)

L’attrice chiamava in Tribunale la convenuta per sentirla condannare al pagamento di una somma di denaro a titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta in relazione all’acquisto di un immobile.
Per il Tribunale non poteva essere accolta la pretesa dell’attrice perché la convenuta era intervenuta nella trattativa negoziale solo in un secondo momento e quindi non era obbligata a versare la provvigione. La Corte d’Appello, rigettando la decisione di prime cure, condannava l’appellata al pagamento della somma. Quest’ultima, pertanto, avverso la pronuncia di secondo grado proponeva ricorso per cassazione denunciando violazione di legge per non aver la Corte territoriale tenuto conto che la provvigione poteva essere riconosciuta solo in favore dei soggetti regolarmente iscritti all’albo dei mediatori. E poiché, nel caso in esame, la ricorrente affermava di aver avuto rapporti solo con una collaboratrice della mediatrice immobiliare, la domanda avrebbe dovuto essere respinta, in quanto la mediatrice stessa non aveva provato che la sua collaboratrice avesse tale requisito.

Per i Giudici di legittimità tale censura non risulta fondata.
Innanzitutto il diritto alla provvigione consegue non alla conclusione del mediatore del negozio giuridico, ma dell’affare, che deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione al mediatore, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti esse ad agire per l’esecuzione del negozio o per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato del negozio.
Va invece escluso il diritto alla provvigione se tra le parti non sia stato concluso un affare in senso economico-giuridico, ma si sia solo costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del processo formativo dell’affare, come nell’ipotesi in cui si sia stipulato un patto d’opzione, idoneo a vincolare una sola parte, oppure un cosiddetto contratto “preliminare di preliminare” che legittima la parte adempiente soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento del danno.