Morte del congiunto: la sofferenza del familiare superstite non è in re ipsa ma si presume
Nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime di questa Corte che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all’essere umano; trattandosi di una praesumptio hominis sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (confermata la decisione della Corte d’Appello, secondo cui la presenza di un legame di parentela qualificato è elemento idoneo a fondare la presunzione, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’esistenza del danno in capo ai familiari del defunto, che è cosa distinta dal riconoscere a quest’ultimi la risarcibilità del danno in re ipsa, per il sol fatto della sussistenza di un legame familiare).
(Cassazione Civile, 30 agosto 2022, n. 25541)