Procreazione medicalmente assistita: il consenso dell’uomo non può essere revocato dopo la fecondazione
Vanno respinte le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non prevede, successivamente alla fecondazione dell’ovulo, un termine per la revoca del consenso, atteso che l’irrevocabilità del consenso appare funzionale a salvaguardare innanzitutto preminenti interessi. L’accesso alla Procreazione medicalmente assistita (PMA) comporta infatti per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni. Corpo e mente della donna sono quindi inscindibilmente interessati in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero. A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale. Se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come un punto di non ritorno, che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella PMA, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre; ciò che rende difficile inferire, nella fattispecie censurata dal giudice a quo, una radicale rottura della corrispondenza tra libertà e responsabilità. Ove, dunque, si considerino la tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione risulta non irragionevole la compressione, in ordine alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo.
(Corte Costituzionale, 24 luglio 2023, n. 161)