Il solo reddito del padre non giustifica l’aumento dell’assegno
L’art. 148 cod. civ. nel prescrivere che entrambi i coniugi sono tenuti ad adempiere all’obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non detti un criterio automatico per la determinazione dell’ammontare dei rispettivi contributi, costituito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma preveda un sistema più completo ed elastico di valutazione che tenga conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica – ivi compreso il valore intrinseco di beni immobili, siano essi direttamente abitati o diversamente utilizzati (Cass., 21/01/1995, n. 706; Cass., 05/10/1992, n. 10926) – e delle capacità di svolgere un’attività professionale o domestica, espresse sulla base di un’indagine comparativa delle condizioni – in tal senso intese – dei due obbligati (Cass., 16/10/1991, n. 10901) (nel caso concreto il decreto della Corte d’appello è stato cassato siccome si era limitato per quanto concerne le esigenze del minore, a dedurre – del tutto genericamente, e senza alcun riferimento specifico al caso concreto – l’impossibilità di quantificare “con precisione aritmetica (…) le esigenze di un bambino che viva in ambienti famigliari particolarmente benestanti”, e la conseguente necessità di fare riferimento ad un criterio equitativo; con riferimento invece alle condizioni patrimoniali dei genitori, la Corte si era limitata ad un altrettanto generico ed apodittico riferimento “alle oltremodo consistenti risorse reddituali e patrimoniali del padre”, pervenendo – sulla base di questa mera asserzione – alla conclusione di dover reputare “congruo rideterminare l’onere in Euro 1.500,00 mensili”).
(Cassazione Civile, 10 ottobre 2018, n. 25134)