La revocatoria fallimentare degli atti compiuti per dovere morale

L’accordo raggiunto in sede di separazione legale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che prevede il trasferimento della proprietà di un bene mobile o immobile ai figli quale modalità di adempimento dell’obbligo di mantenimento’ rientra in quegli atti che non possono essere oggetto di azione revocatoria ai sensi del primo comma dell’articolo 64 L.F. in quanto compiuti inadempimento di un dovere morale. L’obbligo di mantenimento dei figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, può essere adempiuto dai genitori in sede di separazione o divorzio mediante un accordo che attribuisce ai figli la proprietà di beni mobili o immobili, anziché attraverso la corresponsione di una prestazione in danaro periodica.

(Cassazione civile, ordinanza 30 novembre 2017, n. 28829)


Rinnovo del contratto di locazione per facta concludentia

La rinnovazione tacita di un contratto di locazione non può desumersi dal fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall'accettazione dei canoni e neppure dal ritardo con il quale sia stata promossa l’azione di rilascio, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 dicembre 2017, n. 29313)


Il coniuge, separato al momento dell’evento lesivo, ha diritto al risarcimento del danno da lucro cessante

Il coniuge, separato al momento dell’evento lesivo, ha diritto al risarcimento del danno da lucro cessante pari al minor importo percepito a titolo di assegno di mantenimento dall'altro coniuge, la cui capacità lavorativa si sia ridotta in conseguenza dell’illecito causato da un terzo (nel caso in esame il marito, giocatore di basket professionista, rimaneva coinvolto in un incidente stradale, che gli procura gravi lesioni. A distanza di pochi giorni dall'incidente, la società sportiva con cui è tesserato gli comunica la risoluzione anticipata del contratto. La moglie, allora, promuoveva una causa nei confronti della compagnia assicuratrice e del conducente del motociclo sul quale era trasportato il coniuge al fine di ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante subito in conseguenza della perdita della capacità lavorativa dell’ex marito che aveva determinato la sensibile riduzione dell’assegno di mantenimento e dell’assegno divorzile per tutto il periodo compreso tra la data dell’incidente e la fine della carriera lavorativa).

(Tribunale di Rimini, 1 febbraio 2017)


Malformazione del feto e omessa informazione

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza - ricorrendone le condizioni di legge - ove fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale; quest'onere può essere assolto tramite presunzioni, la praesemptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale.

(Cassazione Civile, 31 ottobre 2017, n. 25849)


Circolazione stradale, colpa e prova liberatoria

L'accertamento del comportamento colposo del pedone investito da un veicolo non è sufficiente per l'affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l'investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2054, comma 1, c.c., dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e tenendo conto che, a tal fine, neanche rileva l'anomalia della condotta del primo, ma occorre la prova che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente avesse adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocità di guida mantenuta.

(Cassazione civile, 19 dicembre 2017, n. 30388)


Se l’attività edilizia è attività pericolosa

In ambito di lavori edili spetta il risarcimento dei danni causati da attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 Cod. Civ., giacché la giurisprudenza di legittimità annovera fra le attività pericolose non solo quelle qualificate pericolose dal TU di Pubblica sicurezza ma anche quelle che comportano la rilevante possibilità di verificarsi del danno, qualora il danneggiato fornisca la prova del collegamento fra le attività del cantiere e i danni subiti, mentre compete all'appaltatore dimostrare di aver posto in essere tutti gli accorgimenti per evitare i danni ed eventualmente, comprovare sulla base del principio di vicinanza della prova che le attività di cantiere erano riferibili ad altri soggetti presenti in cantiere (nel caso di specie, considerata la natura e l'entità delle demolizioni, l’importanza e invasività delle opere di demolizione e di scavi per le fondazioni del nuovo edificio, il fatto che tali attività erano da svolgersi in un contesto urbano, in zona confinante con adiacenti e preesistenti fabbricati, che questi ultimi, in ragione delle caratteristiche costruttive, legate al tempo della loro edificazione, erano particolarmente esposti a cedimenti collegati con le attività di demolizione e di sbancamento che ebbero ad interessare il cantiere, il Tribunale ha rilevato che la prova del nesso causale fra l'attività del cantiere e i danni subiti fosse di competenza del danneggiato, mentre le imprese succedutesi nel tempo dovevano dimostrare di aver posto in essere tutti gli accorgimenti per evitare i danni).

(Tribunale di Milano del 12/09/2017, n. 9180)


La citazione vale denuncia dei vizi ex art. 1667 c.c.

In tema di appalto, il termine annuale previsto a pena di decadenza per la denuncia di gravi difetti dell’opera appaltata decorre dal giorno in cui il committente ne abbia avuto conoscenza, secondo un apprezzabile grado obiettivo della gravità degli stessi e della loro derivazione eziologica dall'imperfetta esecuzione dell’opera. Pertanto la proposizione di un’azione giudiziaria per il risarcimento dei danni introdotta mediante citazione a giudizio, non può non implicare una conoscenza ormai avvenuta in capo all'attore/committente dei vizi lamentati, elemento che si pone quale prius logico rispetto alla citazione stessa.

(Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza del 17 ottobre 2017, n. 24486)


Il diritto di recesso del committente nell'appalto

Il recesso ad nutum, stante l'ampiezza di formulazione della norma di cui all'art. 1671 cc, può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente a porre fine al rapporto, da un canto non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera (avendo egli diritto solo all'indennizzo previsto dalla norma) e, d'altro canto, rispondendo il compimento dell'opera esclusivamente all'interesse del committente.

(Cassazione civile, sez. II, ordinanza del 9 ottobre 2017, n. 23558)


Natura della responsabilità del medico e della struttura ospedaliera

Nel caso in cui sia promossa un'azione nei confronti del medico, senza allegare la sussistenza di un contratto di opera professionale con il medesimo, tale rapporto ha natura extracontrattuale, mentre il rapporto con la struttura sanitaria si configura come contrattuale. Nei confronti della struttura sanitaria, il paziente danneggiato dovrà dimostrare la sussistenza di un contratto, l'aggravamento della propria patologia ed il nesso causale tra la condotta dei sanitari ed il danno. Nei confronti del medico dovrà invece dimostrare tutti gli elementi della responsabilità extracontrattuale (fatto illecito, elemento psicologico, danno ingiusto, nesso causale).

(Tribunale di Milano, 27 settembre 2017, n. 9670)


Società di fatto ed estensione del fallimento

Anche in mancanza di deliberazione assembleare e successiva indicazione nella nota integrativa al bilancio, richieste dall’art. 2361, comma II, Cod. Civ. è ammissibile lo svolgimento di attività di impresa da parte di società di capitali in società di fatto con altri, ed è ammissibile il fallimento in estensione nel caso in cui sia accertata l’insolvenza della società di fatto. Al contrario, un’interpretazione dell’art. 147, comma V, L. F. che conducesse all’affermazione dell’applicabilità della norma al solo caso di fallimento dell’imprenditore individuale in essa espressamente considerato, risulterebbe in contrasto col principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost..

(Corte Costituzionale, 6 dicembre 2017, n. 255)