La ragione di credito quale titolo per l’azione revocatoria fallimentare
Per l'accoglimento dell'azione revocatoria non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, ma basta una semplice aspettativa che non si riveli, a prima vista, pretestuosa e che possa esser valutata come probabile, anche se non accertata definitivamente.
(Cassazione Civile, ordinanza 19 febbraio 2020, n. 4212)
Lo storno di dipendenti
Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità non giustificabili, se non supponendo l’intento nell'autore di recare pregiudizio all'organizzazione del concorrente disgregando l’efficienza della stessa per procurarsi un vantaggio competitivo indebito.
(Cassazione Civile, ordinanza 17 febbraio 2020, n. 3865)
Danno erariale causato dagli amministratori delle società partecipate
In tema di società, spetta alla giurisdizione contabile l'azione di responsabilità per i danni che un professionista incaricato abbia causato a una Società partecipata da ente locale, nello svolgimento di un incarico estimativo, soltanto quando quest'ultimo si sia inserito nel procedimento deliberativo della Società partecipata, nella sostanza negativamente condizionandolo quanto alla sua conclusione. Pertanto, l'esercizio dell'azione erariale non può trovare ostacoli nel carattere professionale dell'incarico, anch'esso, in queste ipotesi, idoneo a dar luogo ad un rapporto di servizio, seppur limitato nel tempo. Laddove, invece, ci si trovi di fronte ad un incarico professionale di stima svolto a favore di una Società di capitali, sempre tale, anche se partecipata da enti locali, solo ad essa società spetta l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ex artt. 2393 ss. c.c..
(Cassazione Civile, sezioni unite, 14 febbraio 2020, n. 3806)
Sul danno da concorrenza sleale e sulla sua prova
Il danno cagionato dagli atti di concorrenza sleale, essendo una conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione della regola della concorrenza, necessita della prova secondo i principi generali sul risarcimento da fatto illecito. Pertanto, ai fini dell’utilizzo del criterio equitativo per la liquidazione, occorre la dimostrazione della sua esistenza.
(Cassazione Civile, ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3811)
Revoca del preliminare trascritto
In presenza della prova della “scientia decoctionis”, può essere revocato, ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall., il contratto preliminare di compravendita immobiliare, stipulato con atto pubblico nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore, prima già redatto con scrittura privata, in quanto volto a costituire in favore del promissario acquirente un diritto di prelazione, sfruttando gli effetti dell’art. 2775 bis c.c., che non nasce da una fattispecie legale, in sé non suscettibile di revoca, ma consegue alla formazione di un atto negoziale, volto esclusivamente alla rinnovazione del primo contratto con le forme idonee alla trascrizione, senza che abbia rilievo il fatto che tale atto non riguardi crediti contestualmente creati, posto chela valutazione negativa dell’ordinamento nei confronti della violazione delle regole della “par condicio creditorum”, resa manifesta nel disposto dell’art. 67, comma 1, l. fall. con riguardo alla costituzione negoziale di garanzie per crediti preesistenti anche non scaduti, vale “a fortiori” anche per gli atti costitutivi di diritti di prelazione che riguardino crediti già sorti.
(Cassazione Civile, 5 luglio 2019, n. 18181)
Il diritto del comproprietario di modificare la cosa comune
Rientra tra le facoltà del comproprietario la installazione di un cancello sul passaggio comune con consegna delle chiavi agli altri comproprietari, in quanto essa non impedisce l'altrui pari uso. Pertanto essa rappresenta un atto compiuto nell'alveo dell'esercizio del diritto di apportare alla cosa comune le modifiche necessarie per il suo miglioramento, e non può configurarsi come spoglio, né come turbativa o molestia del compossesso degli altri comproprietari.
(Tribunale di Arezzo, 13 febbraio 2020, n. 158)
Contestazione dei consumi ed onere probatorio
Se l’utente, che sia un’impresa o un nucleo familiare, contesta i consumi che gli vengono addebitati nelle fatture, ritenendoli non veritieri, a causa del malfunzionamento del contatore, ricade su di lui sia l’onere di contestare il detto malfunzionamento, che di dimostrare la reale entità dei consumi effettuati, eventualmente facendo riferimento a quelli rilevati in periodi analoghi a quello considerato, nei quali egli ha normalmente svolto la sua abituale attività. Al gestore spetta l’onere di dimostrare il regolare funzionamento del contatore.
(Cassazione Civile, ordinanza 9 gennaio 2020, n. 297)
La genesi della vicenda si ritrova nella notifica di un decreto ingiuntivo, da parte del fornitore di energia elettrica, nei confronti di una società utente, per il pagamento degli importi contenuti in alcune fatture e riferiti a consumi superiori alla norma.
La società utente presentava opposizione, contestando la pretesa creditoria e la stessa debenza degli importi ivi indicati, ma il tribunale, ritenendole entrambe pienamente provate, la rigettava.
lo stesso accadeva in appello, da qui il ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte ha innanzitutto sostenuto che il contratto e le fatture non bastassero a giustificare gli importi addebitati.
Tenuto conto però del fatto che il contatore era stato accettato da entrambi i contraenti come strumento di contabilizzazione dei consumi, ricadeva sull’utente dimostrare l’anomalia del suo funzionamento.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte, tali disfunzioni dipendono per lo più da guasti occulti o che comportano verifiche tecniche che l’utente non è in grado di eseguire, poiché sprovvisto delle necessarie competenze tecniche (sentenza n.13605/2019).
Pertanto, conclude la Corte, è necessario fare riferimento ad una serie articolata di criteri di riparto dell’onere probatorio, che ricadono su entrambi i soggetti.
Dunque, se l’utente, che sia un’impresa o un nucleo familiare, contesta i consumi addebitati nelle fatture, ritenendoli non veritieri, a causa del malfunzionamento del contatore, ricade su di lui sia l’onere di contestare il detto malfunzionamento, che di dimostrare la reale entità dei consumi effettuati, eventualmente facendo riferimento a quelli rilevati in periodi analoghi a quello considerato, nei quali egli ha normalmente svolto la sua abituale attività.
Al gestore spetta invece l’onere di dimostrare il regolare funzionamento del contatore.
Se, invece, l’utente contesta l’eccessiva entità dei consumi, individuandone la causa nelle attività illecite riconducibili a terzi, ricade su di lui l’onere di dimostrare che tale anomalia è imputabile esclusivamente a detta azione abusiva e che questa non sia stata agevolata dalla sua negligenza, nell’adozione delle misure di controllo: in definitiva, dovrà provare che, nonostante la sua diligenza, i terzi siano riusciti ad eludere le misure di controllo, perpetrando, in suo danno, una condotta illecita.
Quando la fattura commerciale è prova
La fattura commerciale, oltre ad avere efficacia probatoria contro l’emittente, può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto, allorché risulti accettata dal contrente destinatario della prestazione che ne è oggetto. Tale accettazione non richiede formule sacramentali, potendosi anche esprimere per comportamenti concludenti.
(Cassazione Civile, ordinanza 21 ottobre 2019, n. 26801)
In forza di fatture commerciali la società Alfa otteneva, nei confronti di Beta, l’ingiunzione di pagamento di una somma, quale corrispettivo della vendita di materiali di ricambio per auto.
Rigettata l’opposizione dal Tribunale, Beta adiva la Corte d’Appello, che riformava la sentenza e rigettava la richiesta di pagamento di Alfa.
Alfa ricorre per cassazione censurando la sentenza nella parte in cui ha negato l’efficacia probatoria delle fatture, nonostante queste fossero state accettate e regolarmente annotate nei registri IVA.
La Corte di legittimità afferma che la fattura commerciale «non solo ha efficacia probatoria contro l’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto, allorché risulti accettata dal contrente destinatario della prestazione che ne è oggetto».
Inoltre, «una volta che la fattura sia stata portata a conoscenza del destinatario, l’accettazione non richiede formule sacramentali, potendosi anche esprimere per comportamenti concludenti».
È stato poi chiarito, afferma la Cassazione, che «pur non rientrando le annotazioni del registro IVA nella disciplina dettata dagli artt. 2709 e 2710 c.c. per i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, esse possono costituire idonee prove scritte dell’esistenza di un credito», in quanto la relativa annotazione con richiamo alla fattura non è altro che un atto ricognitivo del fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante, stante la natura confessoria ex art. 2720 c.c..
Accettazione tacita dell’eredità
L’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, laddove abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciarvi o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare (nel caso in esame la voltura catastale di un immobile ereditario).
(Cassazione Civile, ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1438)
L’ingiustificato arricchimento nel caso di convivenza more uxorio
In tema di convivenza more uxorio è configurabile un indebito arricchimento ed è pertanto possibile proporre il relativo rimedio giudiziale, nel caso in cui le prestazioni rese da un convivente e convertite a vantaggio dell’altro esorbitano dai limiti di proporzionalità e adeguatezza, ossia esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto.
(Cassazione Civile, 3 febbraio 2020, n. 2392)