Sulla responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza

Ricorre la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza qualora l’attivazione degli stessi in modo conforme ai doveri della carica avrebbe consentito di evidenziare gli illeciti gestori e di prevenire ulteriori danni alla società ed ai suoi creditori. Nel caso in cui ricorra un’inerzia colpevole dei sindaci, che non hanno adeguatamente vigilato sulla condotta gestoria degli amministratori, non vale ad escludere la responsabilità dei membri del collegio sindacale né il fatto di essere stati tenuti all’oscuro degli illeciti da parte dell’organo gestorio, né l’assunzione della carica dopo l’effettiva realizzazione degli atti contrari alla corretta gestione dell’impresa: una volta assunto l’incarico, ciascun sindaco deve infatti diligentemente verificare la situazione della società e porvi rimedio, risultando responsabile se la sua attivazione in modo conforme ai doveri della carica avrebbe consentito di far emergere gli illeciti gestori e di prevenire la creazione di ulteriori danni alla società ed al ceto creditorio.

(Cassazione Civile, ordinanza, 11 maggio 2022, n. 14873)


Responsabilità degli amministratori per la mancanza di scritture contabili

La mancanza di scritture contabili, ovvero la sommarietà di redazione di esse o la loro inintelligibilità, non è in sé sufficiente a giustificare la condanna dell'amministratore in conseguenza dell'impedimento frapposto alla prova occorrente ai fini del nesso rispetto ai fatti causativi del dissesto. Essa presuppone, invece, per essere valorizzata in chiave risarcitoria nel contesto di una liquidazione equitativa, che sia comunque previamente assolto l'onere della prova circa la l'esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale; sicché il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo, per l'ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell'affermazione di esistenza della prova - almeno presuntiva - di condotte di tal genere.

(Cassazione Civile, 12 maggio 2022, n. 15245)


Sul diritto di regresso del socio illimitatamente responsabile verso la società

Il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che abbia concesso una garanzia reale (nella specie pegno) a favore del creditore sociale per le obbligazioni sociali, pur essendo tale garanzia idonea a coprire verso il terzo creditore un debito che sul piano oggettivo è riferibile anche al socio ed aggiungendosi essa alla garanzia patrimoniale generica cui il socio illimitatamente responsabile è tenuto per legge (con l'effetto di neutralizzare il beneficium excussionis di cui beneficia il socio ex art. 2304 c.c.), a seguito dell'escussione della garanzia pignoratizia, ha diritto di regresso verso la società (con applicazione della disciplina delle passività ai sensi dell'art. 2263 c.c.) o gli altri soci.

(Cassazione Civile, 4 marzo 2022, n. 7184)


Riduzione del capitale sociale e determinazione del danno da mala gestio

Nell'azione di responsabilità promossa dal curatore di fallimento ai sensi della L. Fall., art. 146, comma 2, contro l'ex amministratore di una società, poi fallita, che abbia violato il divieto di compiere nuove operazioni sociali dopo l'avvenuta riduzione, per perdite, del capitale sociale al disotto del minimo legale (art. 2449 c.c., nel testo anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ratione temporis applicabile al caso di specie), il giudice, ove, nella quantificazione del danno risarcibile, si avvalga, ricorrendone le condizioni, del criterio equitativo della differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, temperato dalla espunzione da tale differenza del passivo formatosi successivamente al verificarsi dello scioglimento della società, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l'insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell'amministratore e, dall'altro, l'accertamento del nesso di causalità materiale tra queste ultime e il danno allegato sarebbe stato precluso dall'insufficienza delle scritture contabili sociali; e ciò sempre che il ricorso a tale criterio equitativo sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l'attore abbia allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore medesimo.

(Cassazione Civile, 10 febbraio 2022, n. 4347)


Diritto di credito del socio uscente: la prescrizione decorre dallo scioglimento del rapporto

L'art. 2289 c.c. - relativo alla liquidazione della quota del socio uscente - prevede che la prestazione sia esigibile dal socio creditore alla scadenza del termine di sei mesi dallo scioglimento del rapporto, sicché la prescrizione del diritto di credito avente tale oggetto decorre dallo spirare del suddetto termine semestrale.

(Cassazione Civile, 17 gennaio 2022, n. 1200)


L'interesse del socio alla conservazione economica della società non comporta la sua legittimazione ad agire nei confronti dei terzi

L'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica della società è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, tra cui la possibilità di insorgere contro le deliberazioni invalide, ma non implica la legittimazione ad agire, nei confronti dei terzi, per far annullare o dichiarare nulli anche i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, potendo tale validità essere contestata solo da quest'ultima, come si evince dall'obbligo, facente capo all'amministratore, di attivarsi nelle dovute forme per l'eliminazione degli effetti conseguenti all'accertato vizio.

(Cassazione Civile, 21 ottobre 2021, n. 29325)


Irregolarità c.d. informative o puramente formali

L’intervento del tribunale ex art. 2409 c.c. è ipotizzabile esclusivamente quando l’operato dell’organo amministrativo (o anche di quello di controllo) si profila come gravemente azzardato nello svolgimento dell’attività di amministrazione, con conseguente prevedibile verificarsi di conseguenze fortemente negative per la società (come potrebbe ad esempio accadere in presenza di operazioni che esulano palesemente dall’oggetto sociale o che siano in contrasto con esso, oppure in presenza di sistematiche violazioni di norme, oppure nel caso in cui vengano praticate condizioni di favore che si traducono in un una perdita per la società, essendo prive di reale contropartita).

(Tribunale di Catanzaro, 22 Settembre 2021)


La rinuncia al compenso dell'amministratore deve essere esplicita

La rinuncia al compenso da parte dell'amministratore può trovare espressione in un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà dismissiva del relativo diritto; a tal fine è pertanto necessario che l'atto abdicativo si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell'emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto.

(Cassazione Civile, 23 luglio 2021, n. 21172)


Compenso del liquidatore

Il compenso annuo del liquidatore non può essere ridotto con efficacia retroattiva a mezzo di una delibera assembleare in assenza di accettazione da parte del liquidatore stesso, non potendo una delibera incidere negativamente su diritti già acquisiti.

(Tribunale di Roma, 16 aprile 2021)


Sulla preponderanza del fattore personale rispetto a quello materiale nel trasferimento di ramo d’azienda

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c., il trasferimento di ramo d'azienda (che si verifica allorquando venga ceduto un complesso di beni oggettivamente dotato di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionale allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi) è configurabile - come affermato dalla giurisprudenza della CGUE (sentenze 20 gennaio 2011, causa C-463/09; 6 marzo 2014, causa C-458/12; 13 giugno 2019, causa C-664/17) - anche quando oggetto della cessione sia un gruppo organizzato di dipendenti stabilmente assegnato a un compito comune senza elementi materiali significativi, purché tale entità preesista al trasferimento e sia in grado di svolgere quello specifico servizio prescindendo dalla struttura dalla quale viene estrapolata, in favore di una platea indistinta di potenziali clienti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. al trasferimento di un gruppo di lavoratori di un istituto bancario dotati di professionalità eterogenee, come tali inidonee a configurare il presupposto dell'autonomia funzionale del servizio ceduto).

(Cassazione Civile, 16 marzo 2021, n. 7364)