Sulla responsabilità dei sindaci di società di capitali

I sindaci sono responsabili delle violazioni contestate agli amministratori che rivestono una evidenza ed eclatanza (come il mancato pagamento dei tributi e l’assunzione di passività altrui, cioè di altre società del gruppo) tale da essere di necessità conosciute specificamente dal presidente del collegio, che rivestiva anche (in modo incompatibile) il ruolo di consulente e commercialista della società fallita.

(Cassazione Civile, 18 giugno 2020, n. 11884)


S.a.S. ed obbligazioni tributarie

In tema di società in accomandita semplice, la norma gius-civilistica contemplata dall'art. 2313 c.c., nel prevedere che i soci accomandanti rispondono per le obbligazioni sociali limitatamente alla quota conferita, vale anche per le obbligazioni di natura tributaria, e, segnatamente, per quelle relative all'IVA e all’Irap dovute dalla società medesima.

(Cassazione Civile, sez. tributaria, 2 maggio 2020, n. 9429)


Circa la decorrenza del termine annuale di fallibilità in ipotesi di trasformazione regressiva di una s.r.l. in società semplice

In ipotesi di trasformazione regressiva di una società di capitali in società semplice, con conseguente cancellazione della società trasformata dal registro delle imprese e di iscrizione di quella derivata dalla trasformazione nell'apposito registro speciale, la decorrenza del termine annuale di cui alla l. fall., art. 10, va calcolato dalla detta cancellazione, con conseguente iscrizione nel registro speciale di cui del d.P.R. 14 novembre 1999, n. 558, art. 2.

(Cassazione Civile, 29 maggio 2020, n. 10302)


Sulla distinzione tra finanziamento del socio e versamento in conto capitale

L'erogazione di somme dai soci alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato a confluire in apposita riserva "in conto capitale"; in quest'ultimo caso non nasce un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale “residual claimant”.

(Cassazione Civile, 20 aprile 2020, n. 7919)


Omesso pagamento di debiti della società verso l’Erario

In generale, gli amministratori sono tenuti al pagamento, alle scadenze previste, dei debiti della Società verso l’Erario – debiti dei quali essi non sono personalmente responsabili sul piano patrimoniale – utilizzando a tale scopo le risorse economico-patrimoniali della Società stessa. L’inadempimento dei suddetti obblighi di pagamento espone gli amministratori a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori sociali per i danni ad esso conseguenti. Nel caso in cui la società – quando l’amministratore ha omesso il pagamento del dovuto all'Erario – sia in bonis, e dunque abbia liquidità e sia in grado di pagare i debiti erariali, l’amministratore inadempiente dovrà rispondere dei danni procurati alla società in misura pari alle sanzioni, interessi ed aggi addebitati dall'Erario alla Società stessa, come liquidati nel relativo accertamento tributario ovvero cartella esattoriale. Nel caso in cui, pur non essendo la società in grado di pagare i debiti erariali ed in stato di scioglimento per perdita del capitale sociale, l’amministratore abbia tuttavia illegittimamente proseguito nello svolgimento di attività economica con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale, in violazione così di quanto disposto dall'art. 2486 c.c., egli risponde dei danni in misura pari al debito per sanzioni, interessi ed aggi addebitati alla società con riferimento a quei debiti erariali non pagati che la società stessa non avrebbe contratto se fosse stata tempestivamente posta in liquidazione ed avesse conseguentemente cessato l’attività.

(Tribunale di Milano, 13 marzo 2020)


Escussione preventiva del patrimonio sociale

Il beneficio previsto dall'art. 2304 (e 2315) c.c., attenendo alla garanzia del patrimonio del socio nei confronti del creditore sociale, opera nel senso che il socio non può essere chiamato a rispondere in sede esecutiva prima della società, dotata di autonomia patrimoniale, ove non sia dimostrata in termini certi l’impossibilità per il creditore di soddisfarsi sui beni della stessa.

(Tribunale di Pordenone, 30 gennaio 2020)


Diligenza degli amministratori nella gestione

L’amministratore di una società che disponga pagamenti a società terze, peraltro ad esso stesso riconducibili, in assenza del relativo titolo viene meno all'obbligo da esso assunto di gestire i fondi societari nell'interesse dell’amministrata. In quanto violazione dell’obbligo generale di diligenza nella gestione della società, costituente un inadempimento di natura contrattuale, grava sull'amministratore l’onere della prova di aver correttamente adempiuto. In assenza di tale prova il danno corrisponde all'intero importo pagato a terzi, una volta rilevata l’impossibilità di procedere al recupero delle somme pagate in assenza di causa. L’amministratore di società è responsabile per omessi pagamenti di imposte ed oneri contributivi, ma la condanna al risarcimento del danno richiede che sia fornita prova.

(Tribunale di Milano, Sez. Impresa, 20 giugno 2019)


Vendita sottocosto ed atti di concorrenza sleale parassitaria

La vendita sottocosto o comunque a prezzi non immediatamente remunerativi, è contraria ai doveri di correttezza ex art. 2598, comma 1, n. 3), c.c. solo se si connota come "illecito antitrust", in quanto posta in essere da un'impresa in posizione dominante e praticata con finalità predatorie di soppressione della concorrenza, traducendosi così in un danno per i consumatori ed il mercato, realizzandosi in tale ipotesi l'illecito concorrenziale da "dumping" interno.

(Cassazione Civile, 7 febbraio 2020, n. 2980)


Lo storno di dipendenti

Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità non giustificabili, se non supponendo l’intento nell'autore di recare pregiudizio all'organizzazione del concorrente disgregando l’efficienza della stessa per procurarsi un vantaggio competitivo indebito.

(Cassazione Civile, ordinanza 17 febbraio 2020, n. 3865)


Sull'esclusione del socio moroso

Nel caso di mora del socio nell'esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale deliberato dall'assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l'assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l'indivisibilità della quota.

(Cassazione Civile, 21 gennaio 2020, n. 1185)